Che cosa rappresenta lo studio per un artista? Un rifugio, un laboratorio, un luogo del pensare e del fare? E come provare a descrivere uno spazio che registra le tracce della creazione, il faticoso processo che porta dalla potenza all’atto, dalla mano all’opera? È un compito, almeno a prima vista, impossibile (…)
Segue il secondo servizio con l’intervista a Chiara Castagna e le foto del suo studio.
Il tema dello “studio d’artista” è sicuramente coinvolgente e, per certi versi, intrigante. Anche se oggi sembra avere un sapore quasi ottocentesco. Gli artisti più giovani infatti non hanno più un vero e proprio studio e non accarezzano nemmeno lontanamente l’idea romantica di averne uno. Per loro l’arte la si può fare ovunque, in una dimensione senza limiti: senza il peso di nozioni come tempo, spazio, pareti, tele, colori. Essa è qualcosa di fluido, mercuriale, imprevedibile.
L’idea stessa di libertà creativa anzi viene esaltata, portata al massimo delle proprie possibilità, quando l’artista ha il coraggio di uscire dal suo atelier o la “fortuna” di non averne uno.
Io ho sempre lavorato, con e senza studio, praticamente dappertutto. Anche se capisco che per alcuni collezionisti vedere che l’artista ha uno studio è quasi una garanzia di professionalità e di rigore operativo. Ma è un discorso più economico che estetico (o etico).
In questi anni ho spesso lavorato in casa. Non però in cucina come Paul Klee (ottimo cuoco), ma in una sala da pranzo spaziosa, più interessata alla luce che non al luogo in sé… A volte, per i lavori di grandi dimensioni, mi sono rifugiata in camera su di un letto (rigorosamente matrimoniale).
Si può fare di tutto in un appartamento. Io non mi sono mai posta dei limiti: anche la scultura in cemento armato o le installazioni ambientali possono nascere in una stanza. Solo che, a quel punto, tra arte e vita non c’è più distinzione, ma perfetta simbiosi.
Io ho sempre amato vivere in mezzo all’arte, assaporarne in ogni momento l’esistenza, sentirne la bellezza, l’energia creativa come un invitato sempre presente, visibile e a volte invisibile.
Per le immagini c’è il mio sito appena aggiornato www.chiaracastagna.it , lì la mia casa-studio è rappresentata molto bene: invito ad osservarne la dimensione domestica anche se spero non “addomesticata”…
Il mio rapporto con Verona è sempre stato soddisfacente. È una città elegante, colta, stimolante. E dal punto di vista urbanistico, un raffinato museo a cielo aperto. È una città consapevole della propria bellezza ed è bellissimo vivere dentro i ritmi lenti di una provincia che ancora ama il suo territorio. Anche se a volte dà l’impressione di una certa pigrizia, di un certo conformismo, più appagata dei fasti del proprio passato che aperta a nuove avventure e sperimentazioni.
Come artista in anni andati ho fatto mostre in molti spazi della città, cercando di mettermi sempre in relazione con il contesto. Ho fatto anche esperienze importanti a Palazzo Forti o nelle imponenti sale del Palazzo della Gran Guardia. Bagni di folla alle inaugurazioni, quando ancora pensavo importante “mostrare” e spiegare alla gente cos’è l’arte contemporanea.
Ora non più: non c’è più niente da spiegare. Forse ho imparato che l’arte non va spiegata, non ha bisogno del foglio illustrativo come un farmaco. Dovrebbe essere sufficiente guardare, entrare in relazione, porsi in ascolto, come in una sorta di meditazione, di silenzio attivo.
Forse oggi il silenzio è la vera rivoluzione creativa, il collegamento, il ponte invisibile tra l’arte e la dimensione del magico, tra l’arte e tutte le cose che crescono e si espandono nell’universo. E se è vero ciò che dicevano gli antichi che tutto è vivo, che tutto è sacro, tanto più lo è l’arte.
L’arte come esperienza sacra, rivelazione, epifania, stato estatico. Artisti lo si è sempre (lo si è tutti!): è un modo di guardare il mondo, è una forma di pensiero furtivo, fatto di nascosto. Non è lavoro, non è routine, è lo splendore dello stupore, l’estasi naturale. Picasso, quando gli si chiedeva quale periodo della sua carriera preferisse, rispondeva immancabilmente: “ Il prossimo”.
Dal punto di vista dei materiali lavorare nel luogo dove vivo non mi ha mai dato preoccupazione alcuna. Non uso i colori ad olio (troppo lenti!), ma neppure trementine, solventi, siliconi, resine sintetiche o prodotti chimici particolarmente aggressivi. Ho conosciuto artisti che hanno avuto danni gravissimi per la costante esposizione ai solventi…
Preferisco le tecniche ad acqua, veloci, di immediata asciugatura. Anche perchè non ho mai ripensamenti e mi piace il gesto fulmineo che rimane impresso sulla tela.
Ci sono vernici ad acqua di eccellente qualità che danno risultati splendidi. Ma anche colle viniliche per i rilievi, tempere, acrilici finissimi, acquerelli, inchiostri. Pure l’encausto o la cera, se trattati con il giusto grado di fusione, permettono di raggiungere ottimi esiti (senza provocare danni fisici).
L’ambiente dove lavoro deve avere un unico requisito fondamentale: essere molto luminoso… per molte ore al giorno.
La pittura per me in fondo è luce che si fa rilievo, emergendo dal fondo bianco della tela, come quando si gioca sulla sabbia bagnata del mare. È uno sfolgorio che impressiona la retina, è una materia sensibile che si agglutina quasi senza intervento umano… È una danza plastica.
La mia mente pensa sempre in rilievo. Così le tele diventano come oggetti tridimensionali, come stratificazioni luminose.
Molti sono gli artisti hanno avuto una carriera come insegnanti. E anche a me piace il contatto con i ragazzi: amo la loro forza, la loro creatività, l’ardore dei loro sogni … fonte inesauribile di ispirazione. E il Liceo Artistico (in cui insegno) è una vera fucina di idee, ricerche, esperienze. Io mi sento perfettamente a mio agio immersa in questo crogiolo di arte e di vita! Non è magnifico? La mattina esercito il potere della parola, evoco grandi capolavori, illustro poetiche, mi immergo nella bellezza di opere che vanno dalla preistoria ai nostri giorni… nel pomeriggio, nella pace del mio studio, medito attraverso la pratica della pittura.
Nel tempo libero? Vado nei boschi, lungo i fiumi, nelle vecchie contrade a vedere gli alberi, i nostri veri antenati… il mio soggetto poetico preferito, anche se sempre ripensato, trasfigurato.
intervista raccolta dalla redazione di VeronaLive